13 ottobre 2020

1917 - Sam Mendes (2019)


    Un unico piano sequenza per tutta la durata del film. Solo questo potrebbe bastare a spingere lo spettatore ad andare al cinema. In realtà, diciamolo subito, trattasi di più piani sequenza fusi insieme grazie al digitale e a trucchi registici ben congegnati. Ma fa poca o nessuna differenza per lo spettatore, il risultato è altrettanto sbalorditivo.

    6 aprile 1917, nord della Francia, prima guerra mondiale. I soldati britannici Schofield e Blake vengono scelti per una missione tanto di vitale importanza quanto apparentemente impossibile: consegnare un ordine diretto del generale Erinmore al colonnello Mackenzie, situato a diverse miglia di distanza oltre la linea dei tedeschi. L'ordine è quello di annullare l'attacco programmato per l'indomani che prevede il coinvolgimento di 1600 uomini dell'esercito britannico. Il motivo è che gli inglesi, lanciando l'attacco, cadrebbero in una trappola architettata dai tedeschi per compiere un massacro. I nostri due eroi, dunque, non dovranno soltanto attraversare a piedi la linea nemica rischiando la morte ad ogni passo, ma dovranno affrontare una battaglia contro il tempo per arrivare nel punto dove è stanziato il battaglione e fermare il massacro prima che sia troppo tardi. Schofield e Blake sono buoni amici e a complicare le cose c'è il fatto che nel battaglione è presente anche il fratello maggiore di Blake.

    Durante l'intera visione del film non c'è tempo né modo di annoiarsi, l'azione è costante, non ci sono tempi morti, lo spettatore è sempre desto nel chiedersi "cosa succede ora?". La storia è incentrata esclusivamente, o quasi, sui protagonisti, seguiti dall'inizio alla fine della pellicola, in tempo pseudo-reale. 1917 è un esperimento cinematografico, un esperimento mai tentato prima, e quindi, solo per questo motivo, un film assolutamente originale. L'esperimento è quello di girare un film, come detto sopra, utilizzando un solo piano sequenza. O quasi. L'unico stacco avviene quando Schofield perde i sensi a seguito dello scontro con un soldato tedesco, e allora cala il buio. Quando si risveglia, è notte, e la storia riprende da lì. Un bel pretesto del regista per passare dal giorno alla notte, e per far scorrere quindi il tempo in modo veloce. La sceneggiatura, tuttavia, non è proprio originale. Tra tutti i film di guerra, l'accostamento più naturale è quello con Salvate il soldato Ryan di Spielberg, che presenta una storia simile, con la differenza che qui i soldati da salvare sono ben 1600.

    La camera segue, o meglio insegue, i protagonisti dall'inizio alla fine, da davanti, da dietro, da sopra, da di lato. Si alza in volo e si abbassa al livello del terreno, corre nei claustrofobici corridoi delle trincee e vaga negli immensi spazi delle aree aperte, ma sempre dal punto di vista dei protagonisti. Così facendo, con questa visuale in terza persona simile a quella di un videogame, fa immergere lo spettatore nella scenografia. Senza svelare ulteriori dettagli, merita una menzione la scena della corsa di Schofield per raggiungere la postazione del colonnello Mackenzie, in mezzo alle bombe tedesche che esplodono sul terreno e ai soldati del battaglione inglese che iniziano l'attacco. Epica. Il resto, come si suol dire, è storia.

9 ottobre 2020

Bohemian Rhapsody - Bryan Singer (2018)


    
13 luglio 1985, Wembley Stadium, Londra. Sono all'incirca le sei e mezzo di sera, i Queen si preparano a salire sul palco per la loro esibizione di 20 minuti davanti ad un pubblico di circa 72.000 persone. La cinepresa segue da dietro Freddie Mercury mentre percorre gli ultimi metri che lo conducono al palco del Wembley Stadium. Sembra un atleta che sta riscaldandosi, per prepararsi alla sua performance, forse la più importante della sua carriera, della sua vita. Quando si apre la tenda che lo separa dal palco, possiamo vedere il pianoforte a coda e sullo sfondo la folla oceanica che lo accoglie. Dopo di che c
'è il buio, e il salto temporale all'indietro che ci porta all'aeroporto di Heathrow, dove il giovane Farrokh Bulsara lavora. Sta scaricando le valigie da un aereo. E' il 1970. Da lì parte la storia che ci mostra l'incontro del giovane aspirante cantante con i futuri componenti della band, Brian May, Roger Taylor e John Deacon, nonché con l’amore della sua vita, ovvero quello che ispirerà la canzone Love Of My Life: Mary Austin. E poi i successi della band e gli insuccessi personali del protagonista, riguardanti la sua vita privata, dalla drammatica scoperta della bisessualità, passando per la fine della sua relazione con Mary, fino all'ancora più drammatica scoperta dell'AIDS. Da questo triste ritratto emerge una persona sostanzialmente sola, un pò per sua scelta e un pò per la scelta sbagliata delle sue compagnie. Arriviamo, finalmente, alla parte finale del film, che si ricongiunge con l'inizio. Durante l'attesa dei quattro nella roulotte dietro il palco, poco prima della loro esibizione, ad aumentare il realismo si possono sentire le note di Sultans Of Swing dei Dire Straits, esibitisi proprio come nella realtà prima dei Queen. Poi, il vertiginoso piano sequenza ci porta da sopra lo stadio di Wembley, in mezzo alle nuvole, direttamente sul palco, dove ha inizio l'esibizione dei Queen che rimarrà per sempre nella storia. Il Live Aid è stato il più grande evento via satellite e la più grande trasmissione televisiva di tutti i tempi. Si stima infatti che quasi due miliardi di telespettatori in 150 paesi abbiano assistito alla trasmissione in diretta.

    Nel film è stato scelto di riprodurre il concerto del Live Aid con una scaletta ridotta. Vengono infatti eseguite solo quattro delle sei canzoni, ovvero: Bohemian Rhapsody, Radio Ga Ga, Hammer To Fall e We Are The Champions. Mancano quindi Crazy Little Thing Called Love e We Will Rock You. Scelta registica condivisibile in parte, dettata sicuramente da ragioni di maggior spettacolo nel montaggio e di minutaggio più ridotto della pellicola, ma di certo non a favore dei fan più sfegatati. A dirla tutta, si sarebbe potuto scegliere di tagliare alcune scene o di non girarle affatto, a favore dell
'intera riproduzione del concerto del 1985. Sarebbe stata una scelta che avrebbe aumentato ancora di più il realismo, oltre che la felicità dei fan. In ogni caso, c'è poco da dire sulla fedele riproduzione del concerto di Wembley, davvero maniacale nei dettagli e nelle movenze di Freddie sul palco. Si percepisce la verve, la tensione dei membri della band che suonano davanti ad un tale gigantesco pubblico. Ci si sente immersi, presenti sul palco insieme a Freddie, Brian e gli altri. Le immagini in alta definizione rendono addirittura meglio di quelle originali, ed anche sul sonoro, che è quello originale del concerto, è stato fatto un buon lavoro di pulitura e di raffinamento.

    C
'è da dire, in conclusione e a mio modesto parere, che gli ultimi 15 minuti del film, assieme alla colonna sonora e alla voce di Freddie originali, da soli bastano a giustificare il costo del biglietto per andare al cinema a vedere il film. Film che, tolti i due suddetti elementi, si attesta tutto sommato sulla sufficienza, senza andare oltre. La "caricatura" di Freddie è, a tratti, anche troppo accentuata, finendo per divenire quasi parodistica. Bella e anche divertente la parte che mostra l'incisione dell'album A Night At The Opera, soffermandosi in particolare sul brano Bohemian Rhapsody, che da il titolo al lungometraggio. Brano che, insieme al suo geniale autore Freddie Mercury, rimarrà per sempre nella storia della musica, e non solo, come soltanto una leggenda immortale può fare.