23 settembre 2022

Top Gun: Maverick - Joseph Kosinski (2022)

 
   Moto e caccia supersonici: quale miglior connubio? E sembra funzionare ancora bene nel 2022, a distanza di ben trentasei anni dal primo, mitico, Top Gun. La scena iniziale ci riporta direttamente al 1986. Ci troviamo infatti sul ponte di manovra di una portaerei, dove vediamo i marshaller che si sbracciano per dare le segnalazioni ai piloti che stanno per decollare, e anche la colonna sonora che udiamo è la stessa del film originale. Il regista vuole mettere subito in chiaro qual’è l’intento della sua opera cinematografica: una celebrazione del primo Top Gun.

    Ma Top Gun: Maverick è anche (e soprattutto) la celebrazione della divinità Tom Cruise, dell’uomo e dell’attore sessantenne che non ne vuole sapere di invecchiare e di rinunciare a girare di persona le scene più pericolose e più dure. D’altronde il fisico che vediamo nelle scene del film non sembra certo quello di un sessantenne, e il nostro eroe Tom, così come la sua controparte, il colonnello Pete Mitchell, non ci pensa nemmeno lontanamente ad andare in pensione, anzi. Vuole continuare a superare i suoi limiti, a superare sé stesso, nella vita reale tanto quanto nella finzione, come nella sequenza in cui spinge il prototipo di aereo supersonico fino a dieci volte la velocità del suono, mettendo a rischio la sua carriera e la sua stessa vita.

    Come l’attore stesso ha dichiarato, per prepararsi al sequel di Top Gun si è sottoposto ad un estenuante allenamento aeronautico di tre mesi. Le scene girate sugli aerei sono tutte reali, gli attori hanno volato davvero sugli F-18 e hanno sperimentato di persona le accelerazioni di gravità, sopportando una pressione fino ad otto G, ovvero otto volte il peso del proprio corpo. Ma il realismo del film, oltre al fatto che Top Gun è davvero una scuola di combattimento per piloti della marina militare degli Stati Uniti, si ferma qui. Alcune scene che vediamo nel film sono al limite del ridicolo, come quando Maverick si fionda a velocità supersonica in mezzo a due aerei dei suoi compagni, sfiorandoli di poche decine di centimetri (mi viene in mente la parodia del film Hot Shots!).

    Poco importa, il realismo non è lo scopo di questo film, e Joseph Kosinski ha deciso di lasciarlo a casa. Si potrebbe quasi parlare di un Mission Impossible a bordo di caccia militari. In effetti la missione che il colonnello Mitchell e il suo manipolo di piloti scelti deve portare a termine è alquanto impossibile, oltre che improbabile. Giusto per citare un paio di scene molto poco realistiche: la corsa da guiness dei primati di Maverick che percorre come se nulla fosse decine di metri sulla neve fresca, con tanto di tuta da pilota addosso, per raggiungere il suo compagno precipitato, e il furto degli F-14 nella base aerea nemica, con successivo decollo dalla pista praticamente distrutta e in fiamme.

    Un’altra delle pecche è la pressoché totale inconsistenza degli antagonisti: la minaccia arriva da un nemico fantasma. Non viene mai detto in quale nazione o continente si trovi esattamente l’obiettivo da distruggere, il nemico non ha nome, non ha volto, non ha bandiera. Ma evidentemente anche questo è poco importante, poiché il tutto è girato e confezionato in maniera maledettamente bella, tanto da far dimenticare tutti i difetti della sceneggiatura. Non ci si annoia mai, neanche durante le scene dove non c’è azione. Top Gun: Maverick è un giocattolone made in USA che funziona bene, ed è stato creato ad hoc per divertire e per intrattenere il pubblico. Non a caso l’intera pellicola è stata girata in IMAX, una tecnologia che permette di proiettare il film su uno schermo molto più grande rispetto a quello dei normali cinema, immergendo di fatto lo spettatore nella scena.

    La trama del film è abbastanza scontata, il nostro Maverick è costretto, suo malgrado, a scontrarsi con i fantasmi del passato. Di fatto sono proprio questi i veri nemici da sconfiggere. Tra i piloti che dovrà addestrare alla missione, infatti, figura un certo Bradley Bradshaw, soprannominato Rooster, figlio del suo compianto collega e amico Goose. C’è anche un cameo del suo ex compagno/antagonista Iceman, interpretato sempre da Val Kilmer. L’attore, per ovvie ragioni di salute, non avrebbe potuto sostenere una più lunga presenza all’interno del film. Sono diverse le scene nostalgiche che riportano al primo Top Gun, dalla corsa in moto di Maverick che insegue un jet che sta decollando, alla partita sulla spiaggia tra i piloti. Un omaggio quasi dovuto del regista. Non manca nemmeno la parte sentimentale, con l’incontro di una vecchia fiamma di nome Penny, interpretata dalla splendida Jennifer Connelly.

    Nonostante tutto, dunque, un film che vale la pena vedere, meglio se al cinema così da godersi appieno le scene d’azione sul mega schermo IMAX.

7 giugno 2022

Unlimited Love - Red Hot Chili Peppers (2022)

 
     Sarebbero bastate anche solo la metà delle canzoni presenti nell'ultimo lavoro dei Red Hot Chilli Peppers per farne comunque un buon disco e un gran bel ritorno sulla scena musicale. Diciassette tracce sono davvero tantissime, e alcune di queste sembrano essere state buttate lì per riempire (inutilmente) lo spazio del disco.

    Black Summer apre le danze. E' incredibile come, a distanza di più di cinquant'anni, l'influenza di un genio quale è stato Jimi Hendrix sia ancora presente nella testa e nelle mani di tantissimi chitarristi odierni che a lui ancora si ispirano. Uno di questi è sicuramente John Frusciante, e in questo brano l'influenza Hendrixiana si sente tutta. Bellissima la ritmica, i fraseggi e l'assolo che il chitarrista tira fuori dalla sua fedele Stratocaster. Per me il pezzo migliore e più riuscito di tutto l'album.

    Here Ever After ha un bel groove, grazie al basso pulsante di Flea e all'accompagnamento di Chad Smith alla batteria. Buono anche l'assolo finale di Frusciante. Brano che si fa ascoltare con piacere.

    Acquatic Mouthdance è un pezzone funk che si apre con un giro di basso di Flea, che qui utilizza la sua caratteristica tecnica percussiva dello slap, basso che rimane costantemente presente e suona quasi sempre lo stesso giro per tutta la canzone. La chitarra di Frusciante suona poche note ma giuste e in modo perfetto, seguendo il ritmo funky. La batteria di Chad è incalzante, perfetta allo scopo. La voce di Anthony si fonde perfettamente con il tutto, come sempre. Alla fine compaiono anche i fiati (tromba e sax), e il brano si trasforma in una jam session Jazz. Fantastica.

    Not The One fa rallentare il ritmo del disco, volendo essere una specie di ballad. Si sente una sorta di sintetizzatore che accompagna la voce di Anthony per tutta la durata del brano (credo si tratti di un effetto per chitarra suonata da Frusciante con uno bottleneck), e sullo sfondo anche il piano. Niente di eccezionale, ma tutto sommato ascoltabile.

    Poster Child ci riporta al ritmo funky caratteristico della band dei peperoncini rossi piccanti. Frusciante qui usa l'effetto wah wah sulla sua chitarra, mentre Flea e Chad creano il solito bel groove con basso e batteria, ritmo sopra al quale Anthony può incantare gli ascoltatori con il suo tipico canto a tratti rappato, a tratti rallentato.

    The Great Apes contiene qualche bella sfuriata chitarristica di Frusciante, ma niente di più. Ad ogni modo, c'è da dire che lo stile dei RHCP è sempre inconfondibile, anche in brani come questo.

    It's Only Natural è un pezzo tranquillo e senza pretese. Frusciante qui usa un effetto di delay insieme al riverbero per dare più "dimensione" e spessore al suono.

    She's A Lover è uno di quei pezzi "riempitivi" di cui parlavo all'inizio, almeno secondo il mio modesto parere, salvato solo nel finale da un assolo di Frusciante.

    These Are The Ways parte rilassata, per poi prendere vita con il ritmo incalzante della batteria di Chad e i riff distorti della chitarra di Frusciante. Il basso di Flea e la voce di Anthony fanno il resto. Il finale è hard rock, bello tosto. Buon pezzo.

    Whatchu Thinkin' ha un che di "elettronico", ma a parte questo, null'altro di particolare da segnalare. Frusciante ci infila uno dei suoi assoli nel finale.

    Bastards Of Light si apre con un sintetizzatore, in puro stile rock anni '80. Anche questo, dunque, come il brano precedente, presenta influenze di rock elettronico. Verso la fine della canzone, Frusciante irrompe con un pesante riff di chitarra hard rock, mentre la voce di Anthony cambia tono, probabilmente grazie all'utilizzo di un megafono o effetto simile.

    White Braids & Pillow Chair è un melenso brano di pop rock. Qualche buon effetto chitarristico di Frusciante non serve a salvarlo dall'essere soltanto un'altra traccia riempi-spazio.

    One Way Traffic è un discreto pezzo funk, ma niente di più. Anche qui, nel mezzo del brano, Frusciante irrompe con una delle sue sperimentazioni sonore.

    Veronica si apre con un mellotron: avete presente l'intro di No Quarter dei Led Zeppelin? Si tratta dello stesso strumento. A parte ciò, nient'altro da aggiungere su questo brano abbastanza piatto e ripetitivo.

    Let 'Em Cry è una canzoncina da cocktail sulla spiaggia al tramonto. Salvata soltanto, per l'ennesima volta, da un bell'assolo di Frusciante.

    The Heavy Wing contiene qualche buon riff distorto di Frusciante. Per il resto, un po' troppo ripetitivo e tedioso.

    Tangelo suona come una sorta di ninna nanna, come per salutare il pubblico e ringraziarlo per essere arrivato sino alla fine dell'ascolto di questo lungo (lunghissimo) disco. Frusciante usa una chitarra acustica per l'occasione, creando un'armonia dolce e al tempo stesso malinconica.

    E' indubbio che il ritorno di John Frusciante, a distanza di ben sedici anni dall'ultimo album in cui ha suonato con i RHCP, abbia dato una bella scossa alla band ed abbia riportato qualità alla loro musica. Prova ne è quest'ultimo lavoro, nato, a detta degli stessi componenti della band, da lunghe jam session in cui i quattro musicisti hanno dato sfogo alla loro vena artistica. Nonostante alcuni brani che, secondo me, dovevano essere scartati, e nonostante la conseguente eccessiva durata dell'album (eccesso dato non tanto dal minutaggio, quanto dalla noiosità delle suddette canzoni), rimane comunque un buon disco. Di certo migliore degli ultimi sfornati dalla band californiana e, a mio parere, il migliore pubblicato dopo Californication del 1999.

    Signore e signori John Frusciante è tornato, i Red Hot Chili Peppers sono tornati!