4 ottobre 2019

Joker - Todd Phillips (2019)

 
"Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni."
William Shakespeare, La Dodicesima Notte (o, se preferite, V Per Vendetta)

    La vita a volte è tragedia e a volte commedia, l'importante è entrare in scena sempre con stile e con la maschera più adatta. La risata isterica di Arthur Fleck, che lo accompagna per tutta la durata del film, è la risposta ad una vita che è stata spietata con lui. È sofferenza vera, è un ridere per non piangere. È come il sorriso forzato dipinto sulla maschera di un pagliaccio. La sua malattia mentale prende via via il sopravvento e realtà e allucinazione si confondono, non riuscendo più a distinguere l'una dall'altra. Ma cosa importa cos'è reale e cosa solo frutto della propria mente disturbata? L'importante è che la gente inizi a notarti, quando fino al giorno prima nemmeno si accorgeva che esistevi.

    Quello di Joker è un ritratto metropolitano decadente. È il ritratto di un uomo alienato dal mondo, in continua lotta con le proprie psicosi, ferito moralmente e fisicamente dalla crudeltà della gente. Ma è un ritratto autentico, senza filtri, se non quelli della bellissima fotografia. Joaquin Phoenix è un "mostro" di attore, il film ruota interamente intorno a lui, alla sua mimica facciale, alla sua gestualità. La sua interpretazione è più teatrale che cinematografica. Il trucco da clown per lui è solo un di più. L'attore infatti porta addosso il proprio trucco per tutta la durata della pellicola: la sua stessa pelle. La pelle che ricopre il suo corpo scheletrico, a tratti mostruoso, che ricopre il suo volto emaciato e sofferente, fatto di rughe e di una espressività straordinaria. La trasformazione finale (e definitiva) da Arthur a Joker è qualcosa di sublime. Un rifiuto della società, prodotto dalla società stessa, si trasforma nel capostipite di una rivoluzione contro la classe dei ricchi e dei privilegiati, e dunque contro la stessa società marcia che l'ha generato. Non ha più bisogno di medicine per controllare la sua malattia, può finalmente dare pieno sfogo alle sua vera personalità di psicopatico. Personalmente ci ho visto dei riferimenti a Pink, il protagonista del concept album The Wall dei Pink Floyd. Anche Arthur, come Pink, butta giù il muro che fino a quel momento lo ha isolato dal mondo, che ha tenuto intrappolata la sua reale identità. Ma nella sua follia c'è una sorta di giustizia, una giustizia spietata e senza appello, una rivalsa degli emarginati. La sua è una furiosa vendetta nei confronti di tutti quelli che gli hanno fatto del male, compresa la madre.

    Alla fine della visione si è portati a domandarsi chi siano realmente i "buoni" e chi i "cattivi". Chi è il vero eroe? Chi sono i veri malati, quelli rinchiusi nei manicomi o le persone cosiddette "normali" che stanno fuori? In fondo in fondo siamo tutti un po' Joker, impegnati ad affrontare ogni giorno le nostre piccole e grandi fobie ed ossessioni, in mezzo alle strade e alla gente della nostra Gotham. E allora mettiamo un bel sorriso sulla nostra faccia ed entriamo in scena.

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